IL GIUDICE DEL LAVORO

    Ha  pronunciato  all'udienza  del  5  maggio  2005  a  seguito di
eccezione  sollevata dai ricorrenti la seguente ordinanza ex art. 23,
legge  11 marzo  1953, n. 87 nelle cause, non riunite, promosse dalla
sig.ra  Atzei  Linda  (Proc. R.G. n. 683/05), Cadoni Barbarina (Proc.
R.G.  n. 684/05),  Carta  Antonella  (Proc. R.G. n. 685/05), Cavalera
Noemi  (Proc. R.G. n. 686/05), Dessi' Peppina (Proc. R.G. n. 687/05),
Rosa  Laura  Lutzu  (Proc.  R.G.  n. 688/05), Olcese Rita (Proc. R.G.
n. 689/05),  Piras  Lucilla  (Proc.  R.G.  n. 690/05),  Puliga  Maria
Assunta   (Proc.   R.G.   n. 691/05),  Sanna  Graziella  (Proc.  R.G.
n. 692/05),  Sechi Lucia (Proc. R.G. n. 693/05), Serra Rossana (Proc.
R.G.  n. 694/05), Tolu Daniela (Proc. R.G. n. 695/05), Carta Loredana
(Proc.  R.G.  n. 768/05),  Atzeni  Annalisa  (Proc. R.G. n. 1282/05),
Carrus  Gianna  (Proc.  R.G. n. 1283/05), Carta Salvatore (Proc. R.G.
n. 1284/05),  Cordella  Salvatorangela (Proc. R.G. n. 1285/05), Curcu
Salvatore  (Proc.  R.G.  n. 1286/05),  Deidda  Pasqualina (Proc. R.G.
n. 1287/05),  Deiola  Maria  Chiara (Proc. R.G. n. 1288/05), Demontis
Francesca  (Proc.  R.G.  n. 1289/05),  Desogos  Pracida  (Proc.  R.G.
n. 1290/05),  Dettori  Elena  Proc. R.G. n. 1291/05), Figus Francesca
(Proc. R.G. n. 1292/05), Frau Pietro (Proc. R.G. n. 1293/05), Licheri
Maria Giuseppa (Proc. R.G. n. 1294/05), Loddo Maria Antonietta (Proc.
R.G. n. 1295/05), Manias Renzo (Proc. R.G. n. 1296/05), Mele Giomaria
(Proc.  R.G.  n. 1297/05),  Mereu Rita (Proc. R.G. n. 1298/05), Murru
Gervasio  (Proc.  R.G.  n. 1299/05),  Pinna  Antonietta  (Proc.  R.G.
n. 1300/05),  Pinna  Caterina  (Proc.  R.G.  n. 1301/05), Pinna Irene
(Proc. R.G. n. 1302/05), Pisu Giovanni (Proc. R.G. n. 1303/05), Porcu
Martina  (Proc.  R.G.  n. 1304/05),  Sanna  Maria  Iose'  (Proc. R.G.
n. 1305/05),  Sanna  Rosaria  Paola  (Proc. R.G. n. 1306/05), Schirra
Giuseppina  (Proc.  R.G.  n. 1307/05),  Tratzi  Luigina  (Proc.  R.G.
n. 1308/05),  nei  procedimenti su indicati, pendenti innanti codesto
giudice contro il Ministero dell'istruzione universita' e ricerca.
                       P r e m e s s o   c h e
    1.  -  I  procedimenti  calendati  in  epigrafe hanno ad oggetto,
l'accertamento  del diritto dei ricorrenti, per effetto del passaggio
dagli  EE.LL.  nei  ruoli  del  personale  ATA  dello  Stato e previa
declaratoria  dell'illegittimita' dell'art. 3, Accordo ARAN-Sindacati
del   20  luglio  2000,  dell'art. 3,  d.m.  5 aprile  2001,  nonche'
dell'art. 8,    legge   n. 124/1999,   all'integrale   riconoscimento
dell'anzianita'  maturata,  ai fini giuridici ed economici, nei ruoli
dell'ente locale di provenienza e pertanto ad essere inquadrati nella
classe  di  anzianita'  corrispondente prevista dal C.C.N.L. comparto
scuola;
    2.  -  La giurisprudenza della suprema Corte in diverse pronunce,
condividendo  l'indirizzo  giurisprudenziale  della  gran  parte  dei
tribunali  di merito, ha riconosciuto che «al dipendente ATA, gia' in
servizio  presso  gli  enti  locali,  vanno  applicati  i trattamenti
normativi  ed  economici  stabiliti dal C.C.N.L. del comparto scuola,
considerandolo   come   appartenente   a  detto  comparto  fin  dalla
costituzione del rapporto di lavoro con l'ente locale di provenienza»
(Cass.  civ.  sez. lav. 15 aprile 2005, n. 7849; Cass. civ. sez. lav.
4 marzo  2005,  n. 4722;  Cass. civ. sez. lav. 3 marzo 2005, n. 4576;
Cass.  civ. sez. lav. 21 febbraio 2005, n. 3478; Cass. civ. sez. lav.
21 febbraio  2005,  n. 3477;  Cass.  civ. sez. lav. 18 febbraio 2005,
n. 3361;   Cass.  civ.  sez.  lav.  n. 3357;  Cass.  civ.  sez.  lav.
18 febbraio  2005,  n. 3356;  Cass.  civ. sez. lav. 17 febbraio 2005,
n. 3225;  Cass.  civ. sez. lav. 17 febbraio 2005, n. 3224; Cass. civ.
sez. lav. 17 febbraio 2005, n. 3223);
    3.  -  Tuttavia,  l'attuale  Governo nell'elaborare il disegno di
legge   finanziaria   2006   ha   introdotto  un  emendamento,  comma
149-quater,  con  cui  ha  disposto  che il secondo comma dell'art. 8
della  legge  n. 1234/1999  deve  essere  interpretato  nel senso che
l'inquadramento  del  personale ATA transitato dagli Enti locali allo
Stato  deve  essere effettuato con il principio della temporizzazione
anziche'  mediante  il riconoscimento integrale del servizio prestato
nel  ruolo  di  provenienza,  fatti  salvi  i  diritti di chi ha gia'
impugnato  il  proprio  inquadramento, maturati a seguito di sentenze
passate in giudicato;
    4.  -  La  predetta  disposizione e' stata trasfusa nel comma 218
della legge finanziaria 23 dicembre 2005;
    Tutto  cio'  premesso  questo  giudice, lette le note autorizzate
depositate  dalle  parti,  ritiene  di  accogliere l'eccezione di non
manifesta infondatezza e la rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale del comma 218 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, di
cui in premessa, per i seguenti

                             M o t i v i

    1. - Contenuto della norma di interpretazione autentica.
    L'art. 1,  comma  218,  della legge finanziaria 2006 «interpreta»
l'art. 8, comma 2, della legge n. 124/1999.
    Preliminarmente,   occorre   precisare   che   la  necessita'  di
effettuare  l'interpretazione  autentica  di una norma di legge sorge
solamente  quando  la  norma  in  questione,  a  causa  della ambigua
formulazione,   si   presta   ad  essere  interpretata  diversamente,
ingenerando confusione tra gli operatori del diritto.
    Invero,  nel  caso  di  specie dall'esame dell'art. 8 della legge
n. 124  del  1999  si  evince  inequivocabilmente  la  chiarezza  del
disposto normativo. Il tenore letterale della norma, non lascia adito
ad  alcun  dubbio  interpretativo:  dispone infatti, che nei passaggi
dagli EE.LL. allo Stato, al personale ATA devono essere riconosciuti,
ai  fini  giuridici ed economici, l'anzianita' maturata presso l'ente
locale   di   provenienza,  risultando  inequivoca  la  volonta'  del
legislatore.  La  stessa  giurisprudenza di legittimita' (v. sentenze
citate in premessa), intervenuta in merito, ha suffragato ogni dubbio
in merito alla portata precettiva della predetta norma.
    Pertanto, gia' alla luce di tali profili risulta piuttosto dubbia
la  valenza di norma di interpretazione autentica attribuita al comma
218 in commento.
    In ogni caso, dall'esame del contenuto della stessa si evince che
oggetto  dell'interpretazione  e'  il  criterio di riconoscimento dei
diritti   quesiti   da  utilizzare  ai  fini  dell'inquadramento  del
personale  ATA,  prima  dipendente degli Enti locali e poi trasferito
nei ruoli dello Stato.
    In  realta',  dal  confronto  fra  il  tenore letterale delle due
norme,  quella  del 1999 e quella del 2005, risulta evidente che piu'
di  un'interpretazione  si tratta di una sostituzione del criterio di
riconoscimento.   Infatti,   mentre   nella   norma  del  1999,  tale
riconoscimento  era  correlato, all'anzianita' maturata presso l'Ente
locale  di  provenienza, nella norma del 2006 viene invece, riferito,
al  trattamento  economico  complessivo  in  godimento  all'atto  del
trasferimento.  Il criterio dell'anzianita' viene, quindi, sostituito
con  il  criterio  c.d.  del  «maturato  economico», risultandone una
reformatio in pejus nella situazione degli ATA (almeno per coloro che
non  abbiano  ottenuto il riconoscimento dell'anzianita' maturata con
sentenze  gia'  passate  in  giudicato,  la  cui  esecuzione e' fatta
espressamente salva dalla legge).
    Sia  il  contenuto della norma, sia i suoi effetti sui giudizi in
corso   e  piu'  in  generale,  sulle  situazioni  di  diritto  e  di
affidamento degli ATA, si prestano al dubbio di costituzionalita' per
i profili di seguito esaminati.
    2. - I limiti delle norme di interpretazione autentica secondo la
giurisprudenza costituzionale.
    La giurisprudenza costituzionale, pur riconoscendo al legislatore
una   significativa   latitudine   nella   capacita'   di   ricorrere
all'interpretazione  autentica,  pone  alcuni limiti, che nel caso in
esame, non sono stati correttamente rispettati.
    Rileva  innanzi  tutto,  il rapporto che deve intercorrere fra la
norma  interpretata  e  la  norma  di  interpretazione.  Una norma di
interpretazione autentica, per fermo e consolidato orientamento della
giurisprudenza   costituzionale,   deve   limitarsi   a  chiarire  il
significato  di una norma precedente, con la conseguenza che la norma
interpretante  non  fa  venir  meno  la  norma  interpretata e non la
sostituisce  (Corte  cost.,  sentenza n. 233/1988). Indipendentemente
dalla  qualificazione  fornita  dal  legislatore,  secondo  la  Corte
costituzionale  «va  riconosciuto  carattere  interpretativo soltanto
alla legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne
chiarisce  il  significato  normativo,  ovvero  privilegia una tra le
tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo
e'  espresso  dalla  coesistenza delle due norme (quella precedente e
l'altra  successiva  che  ne  esplicita  il  significato),  le  quali
rimangono  entrambe  in  vigore  e sono quindi anche idonee ad essere
modificate separatamente» (Corte cost., sentenza n. 155/1990).
    Secondo  l'orientamento  della  Corte costituzionale deve essere,
invece, reputata illegittima una norma (sedicente) di interpretazione
autentica  che  integra, con nuovi precetti, il contenuto della legge
antecedente,  di  modo  che  «lo scrutinio di costituzionalita' della
norma  impugnata  si sostanzia dunque nella valutazione riguardo alla
sua  compatibilita'  con  il  tenore della norma interpretata» (Corte
cost.,  25  febbraio  2002,  n. 29;  Corte  cost.,  23 novembre 1994,
n. 397;  Corte cost., 4 aprile 1990, n. 155) e che la natura di legge
interpretativa  «va  desunta  da  un  rapporto  fra norme - e non fra
disposizioni - tale che il sopravvenire della norma interpretante non
fa  venir  meno  la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano
fra  loro  dando luogo a un precetto normativo unitario» (Corte cost.
n. 94/1995,   n. 397/1994;   n. 424/1993,  n. 455/1992,  n. 155/1990,
n. 233/1988).
    Gia'  sotto  questo  primo  profilo,  dunque, si palesa una prima
ragione di fondatezza del dubbio di legittimita' costituzionale della
norma  introdotta  con  la  legge  finanziaria  del  2006,  in quanto
appaiono  violati  i limiti che la giurisprudenza costituzionale, per
fermo   e   consolidato   orientamento,   pone   alle  operazioni  di
interpretazione autentica.
    Nel  caso  in  esame  non  abbiamo,  infatti,  due  norme - l'una
preesistente  e  l'altra sopravvenuta - che si saldano fra loro dando
luogo  ad  un precetto normativo unitario, ma piuttosto una norma che
dichiara  di  interpretare  la  norma  preesistente, ma in effetti la
sostituisce  interamente,  sostituendo  al criterio di riconoscimento
dell'anzianita' quello del trattamento economico complessivo.
    Invero,  dalla  mancanza di coerenza fra il contenuto della norma
preesistente  e  il  contenuto  della  norma  di  interpretazione, ne
consegue che la norma di interpretazione si rivela come un espediente
per aggirare il principio di irretroattivita' della legge.
    Se  pure  e'  vero  che tale principio ha dignita' costituzionale
solo  per  quanto  riguarda  le leggi penali, e' altresi' vero che la
giurisprudenza  costituzionale  pone  condizioni  rigorose perche' la
norma  interpretativa  possa  avere  effetti retroattivi e fra queste
condizioni  ricorrono  il  rispetto  del  principio di ragionevolezza
(Corte   cost.,   n. 6/1994;   n. 283   e  n. 424/1993;  n. 440/1992;
n. 429/1991),  la  tutela  dell'affidamento  legittimamente sorto nei
soggetti  quale  principio  connaturato  allo Stato di diritto (Corte
cost.,  n. 525/2000; n. 39 e n. 424/1993, n. 349/1985), la coerenza e
la  certezza  dell'ordinamento  giuridico  (Corte  cost.,  n. 6/1994,
n. 429/1993, n. 822/1988).
    Come e' stato affermato, infatti, nella sentenza n. 525/2000: «In
proposito  questa  Corte  ha  individuato, oltre alla materia penale,
altri limiti, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali
(V.,  ex  plurimis,  le  citate sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del
1994),  tra  i  quali  i  principi  generali  di  ragionevolezza e di
uguaglianza,  quello  della  tutela  dell'affidamento  legittimamente
posto   sulla  certezza  dell'ordinamento  giuridico,  e  quello  del
rispetto   delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere
giudiziario  (cio' che vieta di intervenire per annullare gli effetti
del  giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie
sub iudice)».
    Nel  caso  di  specie  tali condizioni non sono state rispettate,
verificandosi   infatti,   la   violazione  di  alcuni  parametri  di
legittimita' costituzionale, in quanto la norma interpretativa non si
limita  affatto  ad  interpretare,  ma  piuttosto introduce una nuova
disciplina sostanziale, illegittima perche' irrazionale, incoerente e
ingiustamente discriminatoria, con effetti retroattivi.
    3. - I parametri di legittimita' violati.
    3a.  -  Violazione dei parametri di ragionevolezza ed uguaglianza
di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Nel  caso  di  specie,  risulta violato, infatti, il parametro di
ragionevolezza,  desumibile dall'art. 3 della Costituzione, dal quale
e' desumibile, altresi' il parametro di uguaglianza. E' evidente, che
la  norma,  intervenendo  a  ben  sei anni di distanza dalla norma di
riferimento,  modifica  i  criteri  di  riconoscimento di una pretesa
giuridica, in capo a ciascun ATA, compiutamente definita dalla legge,
come  emerge  con  chiarezza  anche  dalle  pronunce  della  Corte di
cassazione  in  materia. Si crea, cosi', una situazione di disparita'
fra  soggetti  che la norma precedente aveva trattato unitariamente e
uniformemente   e   tale   disparita'   non   trova   alcuna  ragione
giustificatrice.  Al  contrario,  la  ratio  della norma del 1999 era
sicuramente  individuabile  anche  nella  definizione  di  un  regime
unitario e uniforme per tutti gli ATA sottoposti al trasferimento, di
modo  che  la  norma  di  interpretazione si pone in contrasto con la
finalita'  della  norma  interpretata  e  anche  sotto questo profilo
rileva la violazione dell'art. 3 Cost.
    Anche  l'effetto  evidentemente  retroattivo della norma in esame
palesa  la  fondatezza  del dubbio di costituzionalita', in quanto la
modifica  retroattiva  di situazioni giuridiche in senso peggiorativo
puo'  essere  ammessa  solo  ove  la  retroattivita'  non finisca per
«trasmodare  in  regolamento  irrazionale ed arbitrariamente incidere
sulle  situazioni  sostanziali  poste  in essere da leggi precedenti»
(Corte  cost.,  sentenze  n. 822/1988, n. 283/1993, n. 6/1994). Giova
rilevare,    peraltro,   che   persino   quando   la   giurisprudenza
costituzionale    riconosce    la    possibilita'    di    modificare
sfavorevolmente   per  i  beneficiari  sempre  purche'  in  modo  non
irrazionale  o arbitrario - «la disciplina di determinati trattamenti
economici  in precedenza garantiti», tale riconoscimento si riferisce
a  trattamenti, come quelli previdenziali, che vengono modificati dal
legislatore  per  i  futuri  beneficiari e non certo per soggetti che
hanno  gia'  usufruito del beneficio o ai quali il beneficio e' stato
specificamente  riconosciuto  in  relazione ad una condizione imposta
dalla  legge,  e  cioe' il trasferimento da un datore di lavoro ad un
altro;
    3b.  -  Violazione della tutela del legittimo affidamento e della
certezza dei rapporti preteriti.
    L'effetto  retroattivo  e  peggiorativo  della norma in questione
rileva   anche   quale   elemento   di   violazione   del   parametro
costituzionale  del legittimo affidamento, da ricondurre anch'esso al
principio  di  ragionevolezza  ed  all'art. 3  della Costituzione. La
Corte  costituzionale  ha  infatti  affermato che «l'irretroattivita'
costituisce  un  principio  generale  del nostro ordinamento (art. 11
preleggi)  e,  se  pur  non  elevato,  fuori  della materia penale, a
dignita'  costituzionale (art. 25, secondo comma, Cost.), rappresenta
pur   sempre   una   regola  essenziale  del  sistema  a  cui,  salva
un'effettiva    causa    giustificatrice,    il    legislatore   deve
ragionevolmente   attenersi,  in  quanto  la  certezza  dei  rapporti
preteriti  costituisce  un indubbio cardine della civile convivenza e
della   tranquillita'   dei   cittadini»   (Corte   cost.,   sentenza
n. 155/1990; v. anche sentenza n. 424/1993).
    Nel  caso  di  specie,  proprio  la  tutela dell'affidamento e la
certezza  dei rapporti verrebbe meno, in quanto vi sarebbero soggetti
il  cui trasferimento dagli enti locali allo Stato avverrebbe secondo
il criterio dell'anzianita' maturata, secondo il disposto della norma
del  1999  e soggetti il cui trasferimento avverrebbe, invece secondo
il  criterio  del  «maturato  economico»,  secondo la norma del 2005,
senza  che  sia  individuabile una ragionevole causa giustificatrice.
Ne'  tale  causa  potrebbe  individuarsi  nelle  ragioni  di  finanza
pubblica  -  che  se  pur  implicitamente  sembrano  essere alla base
dell'ultimo  intervento  del  legislatore  -  posto che occorrerebbe,
comunque,  giustificare  il  fatto  che  tali  ragioni  finiscono per
incidere solo sugli ATA e non sulla fiscalita' generale e, in secondo
luogo  e  sotto  altro profilo, perche' tali ragioni inciderebbero in
misura   discriminatoriamente   differenziata   sugli   stessi   ATA,
concentrandosi  il  peso della reformatio in pejus solo su coloro che
ancora  non hanno intentato un giudizio o che, piu' restrittivamente,
non hanno ottenuto una sentenza passata in giudicato.
    Il  parametro  di  uguaglianza vale anche, quindi, per il caso di
sacrificio  di  situazioni soggettive determinato da ragioni connesse
alla  finanza  pubblica:  come  ha  affermato la Corte costituzionale
«anche  a  voler  considerare  che  la  norma  in questione sia stata
dettata  dall'esigenza  della  contrazione della spesa pubblica, tale
esigenza  non  potrebbe  porsi  a  carico  di  determinati  soggetti,
piuttosto   che   sulla   generalita'  degli  interessati»  (sentenza
n. 311/1995).
    E'  da  rilevare peraltro come le ragioni di tutela della finanza
pubblica siano solo ipotizzabili, in quanto nel convulso procedimento
di  approvazione  della legge finanziaria non e' dato rintracciare le
ragioni ispiratrici della norma in esame;
    3c.  -  Violazione  degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione
per invasione della sfera riservata al potere giudiziario.
    La  norma  in  questione si palesa altresi' illegittima in quanto
essa, pur facendo salva l'esecuzione dei giudicati gia' formatisi, e'
comunque  diretta  ad  incidere  su  giudizi  ancora  in corso e tale
circostanza  e'  riconosciuta  dalla  Corte  costituzionale  come una
ragione di illegittimita' (sentenza n. 155/1990: viola gli artt. 101,
102,  e  104  della  Costituzione una norma che «sia intenzionalmente
diretta  ad  incidere  sui  giudizi  in  corso»;  V.  anche  sentenza
n. 525/2000  e  n. 397/1994).  L'interpretazione  autentica incontra,
infatti,   un   ulteriore   limite   nel   rispetto   delle  funzioni
costituzionalmente  riservate al potere giudiziario e la Corte «ha in
precedenti occasioni affermato che il legislatore vulnera le funzioni
giurisdizionali:  a)  quando intervenga per annullare gli effetti del
giudicato  (sentenza  n. 155  del  1990);  b)  quando  la  legge  sia
intenzionalmente  diretta  ad  incidere  su  concrete fattispecie sub
iudice»  (sentenze  n. 6/1994;  n. 480/1992; n. 91/1988; n. 123/1987;
n. 118/1957).
    E'  evidente  nel  caso  in  esame la volonta' del legislatore di
incidere  concretamente  e  direttamente  sui  giudizi  in  corso per
determinarne l'esito, con conseguente invasione della sfera riservata
al  potere  giudiziario, oltre che con violazione dei gia' menzionati
parametri   di   ragionevolezza,   di   uguaglianza  e  di  legittimo
affidamento.
    Al contrario, la possibilita' per il legislatore di emanare norme
che abbiano incidenza diretta sui giudizi in corso e' da riconoscersi
nel  caso in cui l'intervento sia finalizzato risolvere situazioni di
disparita'  di  trattamento  e  non certo a crearle ex novo (sentenza
n. 29/2002).
    Sotto  questo  profilo,  la  norma  della  legge finanziaria 2006
produce  un  ulteriore  causa  di  discriminazione  contro gli ATA in
quanto  si  pone  in  diretto  contrasto  con  l'art. 2112 del codice
civile,  che  regola  in via generale il mantenimento dei diritti dei
lavoratori   -  e  in  particolare  dell'anzianita'  maturata  -  nel
passaggio  da  impresa cedente ad impresa cessionaria. Tale articolo,
richiamato  dall'art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 per quanto riguarda i
rapporti  di  lavoro  con  le  pubbliche amministrazioni, puo' essere
derogato  solo  con  specifica  abilitazione legislativa (Cass., sez.
lavoro  n. 4052/2004):  e  certo  tale qualificazione non puo' essere
attribuita  ad  una  norma  interpretativa  sopravvenuta. Anche sotto
questo profilo si palesa dunque l'illegittimita' costituzionale della
norma  per  irragionevolezza,  violazione del legittimo affidamento e
del  principio di stabilita' e coerenza nella disciplina generale dei
rapporti di lavoro.
    5.  -  Altresi', risulta evidente la rilevanza della norma de quo
ai  fini  della  decisione dei singoli giudizi in corso, posto che le
pretese  avanzate  nel corso del giudizio dai ricorrenti, non possono
essere  valutate  se  non  alla  luce  della  norma  sopravvenuta  in
commento;
    6.  -  Dall'insieme  delle  su  esposte  circostanze si evince la
sussistenza   delle  ragioni  di  rilevanza  e  di  fondatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. l,  comma 218,
della legge finanziaria 2006.